Si dice che sia il racconto del viaggio più invidiato dai bikers, il più famoso road movie americano, il film culto della controcultura del ’68 e il padre degli youth movies. Su Easy Rider si dice questo e ancora di più.
Originari di Los Angeles, i due protagonisti si chiamano Billy e Capitan America e sono interpretati da Dennis Hopper e Peter Fonda, entrambi anche autori e sceneggiatori. Con i serbatoi pieni di contanti guadagnati da traffici di stupefacenti, i due giovani salgono in moto ai loro chopper e viaggiano attraverso gli States per raggiungere il famoso Carnevale di New Orleans.
Il desiderio di evasione e di libertà è lo sparo che dà il via alla corsa. Billy e Capitan America sono ribelli ma pacifisti, anticonformisti ma innocui. Troppo stravaganti e “diversi” per la società agricola della profonda provincia americana, i due motociclisti vengono rifiutati dagli hotel, ignorati dai barman e scherniti dalle persone che incontrano lungo il tragitto. Solo in una comune di hippies trovano vera ospitalità e condivisione del poco cibo a disposizione.
Il viaggio si arricchisce di un nuovo significato quando incontrano George, un avvocato di Texas City che soffre di alcolismo, interpretato da un memorabile Jack Nicholson. Sempre a bordo delle loro Harley Davidson, i tre percorrono le infinite strade americane, solcando paesaggi spettacolari, aridi e caldi, mostrati in lunghe sequenze in movimento che alimentano il desiderio di libertà e perdizione.
Il ritorno alla cruda realtà arriva quando, aggredito a colpi di mazza da un gruppo di uomini incontrati in un villaggio lungo il tragitto, George viene ucciso. Billy e Capitan America decidono di ricordarlo come avrebbe voluto il loro amico: festeggiando in un bordello di New Orleans. Indimenticabile la scena, girata in 16 mm, che segue: un mix di droga, allucinazioni, immagini sconnesse, suoni psichedelici e intuizioni visionarie.
Ma è solo il finale, inaspettatamente crudele, a decretare chi è il colpevole: non gli stravaganti hippy che, durante l’intera pellicola, non si mostrano mai violenti o pericolosi, bensì l’ipocrita e bigotta provincia americana, capace di essere razzista con i propri connazionali.
La morte dei protagonisti è una doccia fredda sull’idea del mito americano. Droga, viaggio, fuga e libertà si fanno illusioni, morte a causa della violenza e della paura.
Nonostante possa sembrare lento e acerbo per le nostre abitudini cinematografiche contemporanee, guardatelo per capire la ancora attuale denuncia della crisi del mito americano; per le canzoni degli Steppenwolf, Jimi Hendrix e Bob Dylan che danno voce alla coinvolgente fotografia di Laslo Kovacs e al singolare montaggio di Donn Cambren; per scoprire il successo di un progetto indipendente, costato meno di 400 mila dollari, capace di incassarne milioni.